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Carta e matita erano vietate nel campo di concentramento fascista di El-Agheila, in Libia, nella Cirenaica sud-occidentale, sulla costa meridionale del Golfo della Sirte. I detenuti costretti a raggiungerlo percorrendo quattrocento chilometri a piedi nel calore estenuante del deserto erano donne e bambini, anziani e ragazzi. C'erano anche uomini valorosi, che avevano combattuto e resistito agli attacchi dell'aviazione, all'iprite, ai proiettili, alle bombe lanciate sui villaggi, alla mancanza d'acqua, ai pozzi soffocati col cemento, alla politica fascista di devastazione e sterminio. Fra loro c'era un poeta, Rajab Abuhweish che dietro il filo spinato, con sentinelle a ogni ingresso che sorvegliavano puntando le mitragliatrici, nella rovina e nella violenza, esiliato in patria, trincerato dietro la sua voce, compose a memoria un poema di trenta strofe e lo trasmise oralmente agli altri prigionieri, rafforzandone lo spirito di resistenza, come un'arma per sopravvivere, tracciando al contempo tutte le torture subite dal suo popolo. Un canto come ultimo rifugio, un canto per scampare alle sabbie, al fuoco, agli assalti dell'assurdo, alla morte. E quel verso che ritorna, come una preghiera e una maledizione: Il mio solo tormento. Il 16 settembre 1931, Omar al-Mukhtar – la guida del movimento di resistenza armata delle tribù – era stato condannato da un tribunale fantoccio e impiccato pubblicamente nei pressi di Bengasi, le speranze di riconquistare la propria terra si erano estinte, e Rajab cantò con rabbia e angoscia il genocidio in Libia commesso dall'Italia fascista. Tra i prigionieri che ascoltarono c'era Ibrahim al-Ghomary, un uomo colto, che in seguito, sopravvissuto nel 1934 alla chiusura del campo di El-Agheila, trascrisse scrupolosamente il poema, giocando un ruolo fondamentale nella sua trasmissione.
© 2022 Fandango Libri (E-bog): 9788860448606
Release date
E-bog: 20. januar 2022
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Dansk
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